
21 Mar Paura: capirla attraverso lo yoga
A volte, soprattutto al mattino presto, cammino fino al confine del nostro campo. Arrivo in un angoletto silenzioso, mi siedo a terra e guardo la valle che si apre sotto di me. Mi da pace, questo piccolo rito. Se riesco a superare la resistenza a camminare, a continuare a muovermi, a pensare e progettare la giornata, se riesco a sedermi, so di aver vinto: gli occhi iniziano ad appoggiarsi sui confini lontani delle case, delle colline e degli alberi; il respiro si dilata, davanti a quello spazio grande e al cielo infinito; il corpo si stupisce: c’è sempre più spazio di quanto immaginiamo, c’è sempre più poesia di quanta ne sentiamo, c’è sempre più bellezza di quanta ne vediamo, c’è sempre più vita di quanta ne proviamo.
Che io possa sentire respiro, spazio e stupore viene da una scelta. Che io lo sappia o meno, quando riesco ad accogliere tutto questo in me è perchè ho fatto un patto d’onestà con me stessa: ho riconosciuto chi sono, come sto, cosa mi riempie e cosa mi sfinisce. E’ perchè ho incontrato le mie paure, senza tirarmi indietro.
Nel percorso energetico di unione e integrazione dei diversi piani di noi, questo incontro onesto con noi stessi è la chiave per comprendere, coi sensi, con la testa e col cuore. Comprendere, nel senso di accogliere in noi e lasciarci attraversare, è il nostro strumento per la stabilità.
Il progetto “Praticare l’ascolto in tempi di paura” è nato proprio da questa riflessione: cosa cambia, quando invece di essere preda del nostro sentire, sappiamo da dove viene, come opera e cosa ci vuole spronare a fare? Il nemico è sempre più piccolo e più innocuo, quando lo abbiamo smascherato.
Amo lo yoga per la sua capacità di considerare il corpo e i sensi importanti quanto il pensiero, ma non più importanti. Lo amo per la sua saggezza. Avere una visione d’insieme, riconoscere che anche i dettagli sono importanti, non accettare nulla che non sia verità, metterci a nudo: non sono mai riuscita a trovare nulla che fosse più azzeccato e liberatorio del processo che ci porta a guardarci dentro e attorno con i sensi spalancati e il pensiero raffinato, che ci insegna a muoverci secondo il nostro ritmo.
Questa mattina, seduta nel mio angoletto in alto, affacciata sulla valle ho pensato che anche la paura di questi giorni si merita di essere guardata con questa visione d’insieme.
Quante forme ha “Paura?” Infinite, tante quante ne siamo e abbiamo noi. Tre, di base, come i tre piani di noi che si integrano e abbracciano per crearci, tutti diversi, tutti così magicamente legati agli stessi bisogni, agli stessi istinti.
Che forma prende “Paura” nel corpo, nelle dinamiche emotive, nel pensiero? Voglio provare a smascherare il nemico insieme a voi, per renderlo più piccolo, per rendere lui meno carnefice e noi meno vittime, qualsiasi sia la paura che stiamo attraversando.
la paura nel corpo
Il bisogno di base del corpo è sentire fiducia, sicurezza. La paura lo porta lontano da questo stato. A livello istintivo, quando proviamo paura sentiamo che dove siamo non è più un posto sicuro. Davanti alla percezione di insicurezza il corpo escogita tre risposte diverse:
- sviluppa tensioni antigravitarie: i piedi si contraggono, si staccano da terra; le spalle si alzano e irrigidiscono; il collo si contrae, per staccare la testa dal resto del corpo, per distogliere il pensiero dal dolore e dall’instabilità del corpo. Le articolazioni si irrigidiscono, il ritmo del battito cardiaco e del respiro accelera.
- perde o irrigidisce il suo confine: non ci sentiamo più, non abbiamo più percezione del nostro spazio. Abbiamo la sensazione di essere completamente dispersi, oppure ci corazziamo sotto tensioni muscolari impenetrabili.
- si blocca totalmente. Come quando un animale sotto attacco finge di essere morto, anche in noi si attivano dinamiche di blocco, quando abbiamo paura: sangue e linfa circolano meno, la comunicazione nervosa tra il cervello e la periferia rallenta. Continuiamo a vivere, sì, ma in assenza di vitalità.
la paura nell’universo emotivo
Il bisogno di base del nostro paesaggio emotivo è il riconoscimento. Quando le nostre emozioni non sono riconosciute, da noi o da chi ci sta vicino, accadono due cose:
- tutto ciò che rimane in sospeso e non riceve attenzione, da noi o dagli altri, diventa una fonte di rabbia. La rabbia non è un’emozione primaria, ma ha sempre sotto qualche altra emozione, l’origine vera del nostro sentire. La rabbia nasce quando quell’origine non è individuata o permessa: si crea un pressione, una compressione in noi e la pulsione sana dell’emozione che non stiamo riconoscendo si trasforma in rabbia, non potendo uscire liberamente. Per questo, uno dei primi processi che mi piace sempre affrontare con le persone che seguono percorsi individuali con me è la “caccia alle emozioni primarie,” agli stati originari, a quel che c’è sotto le loro tensioni psicofisiche. Questa ricerca viene dagli strumenti dell’insegnamento tantrico, che invita alla verità, alla libertà, alla spontaneità. La rabbia, dal canto suo, può agire sul nostro tono muscolare di base, in due modi che sono solo apparentemente opposti: può creare grandi tensioni, oppure creare ipotono, la sensazione che il nostro confine è perso, che non siamo più niente, che non c’è più niente per noi. Questa rappresentazione di noi e della realtà è tipica degli atteggiamenti depressivi.
- Davanti al mancato riconoscimento della paura (e, in generale, di tutte le nostre emozioni), perdiamo il riferimento del nostro sentire: negarci o vederci negato ciò che proviamo è il modo migliore per creare disorientamento, lo stato in cui non ci fidiamo più di ciò che proviamo e, allora, non sappiamo più che cosa vogliamo e come vogliamo comportarci. In questi casi, tendiamo a riesumare le vecchie abitudini, gli atteggiamenti che abbiamo memorizzato in periodi lontani, le paure e le disfunzionalità della nostra infanzia, i modelli di risposta alle emozioni e agli eventi che abbiamo visto incarnare a chi ci stava attorno. In questi casi, tendiamo a regredire e ritornare ad abitudini, pensieri e gesti che, sebbene non siano quasi mai più saggi e più giusti, ci risuonano come rassicuranti, perchè li abbiamo conosciuti in una fase antica della nostra vita, perché sono stati i primi modelli che abbiamo incontrato, perchè hanno lasciato il segno in noi.
la paura nella mente
Il bisogno di base della mente è la comprensione, l’avere il quadro della situazione, il riuscire ad orientarsi in essa.
- una delle prime conseguenze della paura e del nostro non riconoscerla o accoglierla è che perdiamo la capacità di pensare con lucidità. Non sapere quali sono le emozioni e gli istinti che ci muovono davvero ci porta a ragionare non sui nostri riferimenti interiori, ma sugli schemi che abbiamo raccolto e visto rappresentati più spesso nei periodi più fertili e plasmabili della nostra vita, infanzia e adolescenza soprattutto.
- Ogni pensiero e processo mentale dovrebbe portare alla soluzione o all’avvicinamento ad essa. La relazione tra cervello e corpo è programmata perchè il pensiero informi i muscoli, li guidi ad agire nella direzione decisa dal pensiero e ne tragga soddisfazione. Pensare sulla base di emozioni non nostre ci porta a produrre false soluzioni; ragionare su bisogni non centrati ci porta a non arrivare mai a conclusioni soddisfacenti. Questo costringe la mente a continuare a produrre pensieri: continuerà a lavorare instancabile, finché quella soddisfazione per cui è programmata non arriverà. L’iper produzione di pensiero viene spesso dalla disconnessione dal nostro sentire profondo.
- Ecco, quindi, la strutturazione dell’atteggiamento di base della mente, quando incontriamo la paura: la mente gira velocissima, incapace di risolvere e portarci alla tanto agognata meta del rilascio della tensione. La mente, staccata dal corpo, è solo un organo produttore di possibilità infinite, in cui tutto e il suo opposto è possibile. La mente, staccata dal corpo, si mette alla guida delle nostre scelte e prospettive, organizzandole sulle abitudini, sui modelli, sulle imposizioni e, a volte, sui traumi che abbiamo incontrato. La mente, staccata dal corpo, fallisce nel suo compito principale: riorganizzare il nostro cammino, in modo che il corpo stia bene.
Nelle prossime settimane, partendo da queste informazioni, vi proporrò pratiche per lavorare fianco a fianco con la paura, conoscerla, smontarla, usarla come un informatore che, se ascoltato, ci accompagna nella direzione dello star bene.
Per ora, spero che questa lunga riflessione sulla paura abbia già iniziato a lavorare in voi, ad aprirvi alla nuova prospettiva che nulla di ciò che proviamo e pensiamo è casuale, che negarci il nostro sentire non è mai la scelta giusta, che rifugiarci nel solo pensiero e arroccarci nella razionalità è solo una delle possibili risposte al disagio- una risposta quasi mai completa, quasi mai efficace, quasi mai saggia.
Per ora, spero che questa lunga riflessione abbia iniziato a stabilire la vostra attenzione nella base di tutta la nostra pratica: l’ascolto.
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